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Gestire portafogli di NPLs senza specialisti esterni, è possibile?

Sembra essere un trend in crescita quello che vede un numero di banche sempre maggiore scegliere di gestire gli NPLs senza operatori esterni specializzati.

Intesa Sanpaolo aveva iniziato per prima la strada della gestione interna degli NPL all’inizio di quest’anno. Era la logica dell’Asset light bank e il Presidente Gian Maria Gros-Pietro ne chiariva i motivi fondamentali: «Non abbiamo nessuna intenzione di regalare a operatori specializzati i valori sottostanti i crediti e nemmeno danneggiare con operazioni frettolose le imprese debitrici – ha aggiunto – Noi contiamo da un lato sulle professionalità dei nostri operatori, dall’altro sulla buona salute del sistema produttivo».
Il Dottor Gros-Pietro ricordava inoltre come «Gli npl sono per la stragrande maggioranza crediti verso Pmi. Non bisogna fermarsi all’aspetto cartaceo o giuridico. Il nostro obiettivo è ricavare da questi crediti il maggior valore possibile».

Forse queste parole sono state un’ispirazione per la manovra di Unipol dell’ultimo mese: l’istituto ha deciso di costituire una nuova società che sarà partecipata dagli attuali soci, vale a dire Unipol al 57,75% e UnipolSai al 42,25%. Quest’ultima detiene anche una put su una quota del 27,5% che può esercitare nei confronti della capogruppo. All’interno della newco verrà trasferito un portafoglio crediti in sofferenza di Unipol Banca da circa 3 miliardi di euro. Tali asset verranno valorizzati attorno al 20% del nominale. È inoltre previsto il rafforzamento – attorno al 40% – del tasso medio di copertura delle inadempienze probabili che rimarranno in capo a Unipol Banca.

Tornando al progetto di Banca Sanpaolo, si viene a sapere che entro la fine del 2019 l’incidenza dei crediti deteriorati sui crediti complessivi alla clientela dovrebbe scendere a circa il 10,5% al lordo delle rettifiche di valore e a circa il 6% al netto, dal 14,7% e 8,2%, rispettivamente, di fine 2016. La capital light bank (la divisione dedicata) è ora pienamente operativa, con 740 addetti e 22 miliardi di euro di riduzione di attivi non-core già conseguita nel primo trimestre.

Anche Ubi Banca ha scelto di gestire internamente i crediti deteriorati senza ricorrere a vendite massive. A determinare tale scelta, la dimensione contenuta degli stock, la forte contrazione dei nuovi flussi da crediti in bonis a crediti deteriorati (nel 2016 -70% rispetto al picco del 2012 e in linea con il dato pre-crisi del 2007) e l’elevata capacità di recupero dei crediti deteriorati (oltre l’8% dello stock totale di crediti deteriorati recuperato nel 2016), assieme alla solida posizione patrimoniale (Cet1 pari all’11,4 al 31 marzo di quest’anno) e all’abbondante posizione di liquidità.
Nel piano presentato a marzo 2017 alla Bce, Ubi prevede di poter ridurre entro il 2020 il livello dei crediti deteriorati lordi all’11,5% e di quelli netti al 7,2%. La banca dispone di un team centralizzato di circa 400 persone, di cui 130 dedicate al recupero delle sofferenze (l’unità è operativa dal 2009) e circa 270 al recupero delle Inadempienze probabili.

Si aggiunge alla lista dei pionieri anche Banco Bpm che ha deciso di gestire in casa i crediti non performanti, anche se, da piano industriale, prevede una strategia mista che include anche la dismissione di alcuni pacchetti di Npl. In una recente intervista l’a.d. Giuseppe Castagna ha ricordato che a metà giugno è stata ceduta una tranche di 693 milioni nella prima vera cessione di non performing loans garantiti. Cessioni a parte l’istituto sta gestendo internamente il portafoglio «con ottimi risultati» (queste le parole dell’a.d.) e di questo passo, oltre agli 8 miliardi concordati con la Bce, potrà venderne altri 5-6 miliardi recuperando più di quello che avrebbe incassato vendendo «all’ingrosso». Allo scopo, va ricordato, ha assunto gestori specializzati in modo da selezionare gli asset da vendere.

Di Karen Giacomello
© Riproduzione riservata

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