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Il credito fa la muta. Nel 2018 sarà farfalla o bruco?

Gli NPL? Mercato enorme e ancor più grande, probabilmente, dopo l’addendum BCE. Ma il peso dei fondi strozza i collector tradizionali. Serve una riforma, per stabilire i paletti ma anche per aprire i mercati delle PMI e della PA. E correre di nuovo, insieme al Paese.

La metamorfosi del credito.
Non citiamo il titolo del romanzo, né un poema che su reminiscenze antiche intenda cantare – o piangere – moderne avventure e disavventure finanziarie. È invece il tema del prossimo CVDAY, in programma a Milano il 22 di questo mese.
E, soprattutto, la talk of the town, come dicono gli inglesi, l’argomento più discusso e chiacchierato nel piccolo mondo dei professionisti del credito nell’ultimo scorcio del 2017. Ogni anno assistiamo a novità più o meno rutilanti, ma forse mai come in questo anno, vicende e decisioni che “ci passano sopra la testa”, da operatori, rischiano di scompigliare le carte e farci sostare sulla casella delle Probabilità o su quella degli Imprevisti, senza passare dal Via e ritirare il premio, magari.
Cambia, infatti, l’intero mercato del credito, e se gli NPL, attori protagonisti da mesi, corrono il rischio di trasformarsi da opportunità in fonti di danno, potrebbe per esempio essere foriero di buon vento un futuro rapporto con la Pubblica Amministrazione.

Ma andiamo con ordine.
Se fino a ieri molti originator desideravano alleggerire il peso delle sofferenze nei loro bilanci, oggi, per dirla alla romana e un po’ brutalmente, je tocca. Come un po’ brutale, d’altra parte, è stato percepito da diversi l’ultimo intervento in materia della Banca Centrale Europea, la quale con il recente addendum alla propria direttiva sugli NPL, di fatto chiede alle banche di azzerarli in breve tempo, mediante aumenti di capitale non facili da reperire. La misura riguarderà i nuovi NPL non lo stock già esistente nei bilanci che ammonta a quasi mille miliardi di euro.
L’Italia è già oggi considerata l’eldorado dei crediti scaduti: il mercato, saldamente in mano ai fondi di investimento, raggiungerà i cento miliardi di operazioni di cessione effettuate nel corso del 2017.
Imprevisto od opportunità? L’ingresso dei grandi investitori condizionerà tutto il settore o verrà “assorbito” dal mercato, coinvolgendo i servicer che operano da decenni?
Una cosa è certa: la stretta della BCE contiene una serie di previsioni e automatismi che, se confermati, avrebbero un forte impatto sui requisiti patrimoniali delle banche, imponendo loro, oltre agli accantonamenti, un management del credito più veloce ed efficace. Gli istituti si avvarranno di sicuro delle società di recupero – anche per le grandi ombre reputazionali generate dalla gestione del recupero – e cederanno con maggiore sollecitudine i crediti deteriorati e che le società non recuperano.
Se tale fermento si tradurrà anche in un’occasione di sviluppo del business e delle buone pratiche, è tutto da vedere. I segnali, fino a oggi, non sembrano incoraggianti sotto ogni luce.

Il comparto del recupero stragiudiziale vede difatti diminuire la propria marginalità in modo sempre più significativo. Il credito si compra e si vende come non mai, ma pagano dazio soprattutto i recuperatori. Perché?
Semplice: fino alla calata dei fondi e dei debt buyer, i player italiani della collection si approvvigionavano direttamente alla fonte, saltando quindi ogni intermediazione e prendendo il lavoro dalle banche e dagli intermediari, oggi invece clienti diretti di chi compra e con strutture di collection sempre più leggere e meno fornitori del servizio.
È venuta in poche parole a mancare la contrattazione diretta e la possibilità di spuntare la lavorazione di pratiche anche “fresche” e un compenso maggiore. Oggi il mercato corre comprando e gestendo in modo profittevole e ottimizzando, tanto in fase di acquisto che in fase di gestione, il credito. Le società di recupero a costi uguali, maneggiano oggi pratiche o più vecchie o più difficili a compensi inferiori.
E in tutto ciò il consumatore?  Rischia dover subire pratiche di recupero aggressive da parte di aziende in difficoltà di bilancio e subissate da richieste di lavorazioni sempre più frenetiche.
A chi tocca quindi la patata bollente?
Secondo noi, al solito convitato di pietra, al nostro interlocutore ormai favorito, il legislatore. Certo, serve coraggio “politico” per mettersi, con una riforma organica e intelligente del settore, dalla parte di chi è spesso percepito come il “cattivo”, colui che in anni di vacche magre “vessa” il cittadino con le richieste di rientro per conto dei propri clienti. Diciamolo, non c’è appeal “elettorale”.
Da parte nostra, per contro, abbiamo messo in campo una continua e sicura crescita della professionalità media: oggi agenzie e collection sono figure di spessore, capaci se ben governate di contribuire significativamente all’economia generale del Paese. Chiarire una volta per tutte i confini del loro intervento tutelerebbe per esempio consumatori e debitori in generale da operatori abusivi o improvvisati. Mentre le nuove norme potrebbero, per esempio, aprire a quelli seri i mercati promettenti – per tutti gli attori – della Pubblica Amministrazione e delle piccole medie imprese. Queste ultime vedrebbero aumentare le proprie chance di agganciare stabilmente, meglio gestendo il cash flow, la debole ripresa economica.

Last but not least, si otterrebbe, in questo modo, un virtuoso effetto deflativo per i tribunali civili e delle esecuzioni che, altrimenti, si troveranno presto a gestire una massa ingente di crediti deteriorati, a ritmi per loro insostenibili. È da ritenere infatti che, proseguendo il trend positivo dell’economia, le PMI possano finalmente investire nella domanda di giustizia per gli insoluti recenti o di lungo corso, finora bloccati causa scarsa liquidità.

Nel caso, cari servicer, saremmo pronti a entrare con passo sicuro in questi nuovi e immensi scenari con il potenziale per far davvero esplodere le performance del comparto?

 

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