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NPL e UTP, la crisi d’impresa e l’impatto sulle banche

La differenza tra Npl e Utp, sempre ammesso che esista, impatta sulla gestione dei crediti insoluti. Alcuni accorgimenti possono aiutare nella soluzione a monte di acquisire crediti sempre più sani.

Il problema delle sofferenze bancarie è sempre più correlato al concetto di crisi d’impresa, ma per poter affrontare la gestione di questo tipo di sofferenza è necessario rammentare la distinzione tra crediti UTP (Unlikely to pay) e crediti NPL (Non performing loans).

Infatti il credito deteriorato non può ricondursi alle sole posizioni identificate come NPL, ovvero quelle in cui il debitore è insolvente e il rapporto, di fatto, è già cessato, ma anche e sempre con maggiore attenzione, a quello delle posizioni definite UTP cioè quelle per cui la banca rileva un rischio di insolvenza che è anche solo potenziale e non ha ancora generato dello scaduto.

Sono in atto discussioni sul tema dell’equiparazione dei crediti Utp agli Npl, e la domanda è se i primi non siano in realtà una categoria di semplice passaggio ai secondi. L’attuale orientamento è quello di farli rientrare negli Npl al fine di non delegare alle banche il passaggio dall’una all’altra categoria in modo artificioso, alterando così le linee guida della BCE circa i livelli di accantonamento prudenziale richiesti per le esposizioni deteriorate.

A questo proposito peraltro l’addendum della BCE pubblicato nel mese di marzo dello scorso anno ad integrazione delle linee guida emanate nel marzo 2017, ha introdotto nuove disposizioni sulla copertura dei crediti deteriorati, coperture da intendersi applicabili anche ai crediti erogati negli anni passati, estendendo i margini di accantonamento richiesti.

Ciò che emerge è che la collocazione dei crediti Utp è incerta e di non facile determinazione proprio perché riconducibile ad una fase iniziale in cui il credito non è ancora in sofferenza, ma comincia solo a mostrare i primi segni di anomalia tali da rendere improbabile l’adempimento alle scadenze contrattualmente concordate e comunque, altra differenza importante, sempre riferibile ad un debitore che sta ancora operando sul mercato, dunque attivo.

Per questo tipo di crediti sarebbe infatti auspicabile un trattamento diverso a quello riservato agli NPL con le cessioni massive, perché non è detto che un credito Utp si trasformi necessariamente in una sofferenza o insolvenza. Le banche dovrebbero cominciare ad assumere un atteggiamento un pò più conservativo piuttosto che liquidatorio verso questi crediti che sono meno problematici da gestire e avrebbero magari solo bisogno di essere rinegoziati.

In ogni caso, al di là delle definizioni, ciò che interessa veramente è auspicare che a fronte della solerzia richiesta dalla Vigilanza BCE alle banche nell’assicurare idonee coperture ai crediti deteriorati, si possa, da un lato ottenere un miglioramento della cronica lentezza delle procedure giudiziali di recupero cominciando a fruire anche di altri strumenti quali quelli che offre il mondo delle procedure ADR (Alternative Dispute Resolution) e dall’altra, mettere in piedi una macchina creditizia pronta e capace a valutare idoneamente l’erogazione di finanziamenti alle imprese per l’acquisizione di crediti potenzialmente sempre più sani.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto è necessario avere coscienza del fatto che i prestiti sono caratterizzati di per sé da un rischio specifico rispetto al quale sarà la banca a dover avere un approccio nuovo, di “due diligence”, che le consenta di adottare, come appena accennato,  soluzioni e strumenti innovativi sia in fase di erogazione del credito e sia di gestione dello stesso, intervenendo sempre più precocemente  in situazioni di solo probabili inadempienze (Utp) piuttosto che lasciare che un credito si deteriori a tal punto da trasformarsi in sofferenza (Npl).

A cura dell’Avv. Monica Romano

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