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Privacy, il segreto professionale nelle indagini difensive

Con la pubblicazione delle “Regole deontologiche”, il Garante per la privacy ha stabilito i confini per investigatori e avvocati in merito al trattamento dei dati personali dei propri assistiti
Il rapporto di fiducia tra investigatore privato o avvocato e il proprio cliente è veicolato dalla segretezza a riguardo di informazioni estremamente riservate, che coinvolgono l’interessato o terzi, destinate alle indagini difensive o alle attività inerenti la difesa. Il segreto professionale è tutelato in tutti i Paesi membri dell’Ue ed è stato oggetto di chiarimenti anche da parte del GDPR, il nuovo Regolamento europeo sulla privacy.
Allo scopo di fare maggiore chiarezza sulla questione, a fine 2018 il Garante per la privacy ha emanato le “Regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria”, pubblicate in G. U. il 15 gennaio scorso. Tali regole si rivolgono agli avvocati (praticanti avvocati compresi) e agli investigatori privati. Nello specifico, il trattamento riguarda soprattutto “categorie particolari di dati”, quali informazioni sull’origine razziale dell’assistito, opinioni politiche e convinzioni religiose, ma anche dati genetici, biometrici, orientamento sessuale e salute. Questa tipologia di informazioni è citata anche nell’art. 9 del GDPR ed è vietata al trattamento, fuorché nel caso in cui si riveli “necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”.
Il segreto professionale viene enunciato anche nel Codice Deontologico Forense che definisce un “dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato”. Le Regole deontologiche pubblicate dall’Autorità partono da questa affermazione per sottolineare che l’obbligo di segretezza “va osservato anche quando il mandato è stato adempiuto, rinunciato o non accettato”.
Nel caso in cui, a seguito della sostituzione dell’avvocato difensore (per rinuncia o per revoca dell’incarico), al vecchio avvocato venga erroneamente consentito l’accesso al fascicolo informatico del processo civile, non è prevista alcuna violazione del GDPR. Viceversa, nel caso in cui le informazioni ottenute dal cliente o da terzi vengano divulgate, questo comportamento costituisce il reato di violazione del segreto professionale ed è punibile per legge.

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