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Catalogna, da soli il portafoglio piange

Le conseguenze economiche di un’eventuale secessione, da quelle sistemiche fino alle ricadute sulle finanze quotidiane dei cittadini. Con qualche prevedibile problema anche per i creditori, che oggi si affidano al sistema giudiziale controllato da Madrid.

Da tempo tiene banco nei giornali, in Tv e su Web, dividendo anche l’Italia in pro e contro.
È la Catalogna, la regione spagnola che, con un controverso referendum, tenutosi tra polemiche e qualche disordine il 1° ottobre, si troverebbe oggi secondo i fautori del pronunciamento nella condizione di dichiarare la propria indipendenza.
Potrebbe, perché nel frattempo la temuta dichiarazione, con le sue inevitabili conseguenze, è stata sospesa, in nome del dialogo e della mediazione.
Forse anche per la presa di coscienza, traumatica, che in un mondo sempre più legato, fin nelle abitudini e nei comportamenti quotidiani, a economie, rapporti e istituzioni sovranazionali una decisione simile, priva di riconoscimenti internazionali, provocherebbe quasi certi effetti traumatici sul piano della finanza generale del territorio e delle ricadute sui cittadini.
È già iniziata, infatti, la grande fuga di banche, imprese e società, e gli esperti lanciano l’allarme: l’indipendenza potrebbe costare molto cara, dal punto di vista sociale ma anche economico.

La Catalogna è la regione di gran lunga più dinamica e produttiva della Spagna: il principale vantaggio per i catalani indipendenti sarebbe costituito dai 16 miliardi di tasse dovute a Madrid che, nello scenario della secessione, rimarrebbero “in casa”.
Parecchi e pesanti, al contrario, i problemi sull’altro piatto della bilancia. Una lezione, forse, da studiare anche da parte di altri, i quali, in Europa, pensano a secessioni.

Crollo delle esportazioni.
Ben il 35,5% dell’export del nascente stato indipendente è oggi diretto verso la Spagna. È assai probabile che, almeno in fase iniziale, quest’ultima sarebbe propensa a boicottare i prodotti della regione “ribelle”. Secondo il ministro dell’Economia spagnolo, Luis de Guindos, la Catalogna potrebbe perdere fino al 30% del suo Pil in caso di secessione.

Uscita forzata dall’UE e soprattutto dal Mercato comune.
All’Unione oggi partecipa la Spagna. Il neonato Stato dovrebbe, nel caso, chiedere una nuova adesione. Nel frattempo oltre il 60% delle esportazioni catalane andrebbero, potenzialmente, a scontrarsi con le barriere commerciali “standard” nell’ambito del Wto.
Il rientro nell’Unione poi, pur desiderato, non risulterebbe semplice. Stanti le norme odierne, infatti, servirebbe l’approvazione di tutti gli Stati membri, ed è evidente che quantomeno il governo spagnolo si opporrebbe a un agevole ritorno della Catalogna nell’Unione.
Nuova moneta e debito in euro.
Il debito pubblico catalano resterebbe in euro, e il nuovo governo dovrebbe optare tra una nuova moneta – preparandosi a una forte svalutazione (con rischio di grande inflazione interna) – o l’adozione unilaterale dell’euro, rinunciando all’indipendenza monetaria, in quanto valuta non sovrana.
Perdita di liquidità erogata da Bce.
Uscendo dall’Unione la Catalogna non potrebbe più accedere alla liquidità fornita dalla Bce e all’assistenza finanziaria agevolata in caso di crisi. I mercati finanziari giudicherebbero quindi la nazione e le sue banche come molto più rischiose, e questo accrescerebbe (di parecchio) il costo dell’indebitamento pubblico e privato. A sua volta il rapido aumento del costo dei debiti tende ad accentuare le conseguenze di una crisi economica
Corsa al ritiro degli euro.
L’insieme dei fattori fin qui elencati spingerebbe quasi certamente moltissimi cittadini catalani in banca, per ritirare gli euro finché ci sono, nel timore che ad un certo punto finiscano. Questo potrebbe far saltare tutto il sistema finanziario della Catalogna.

Non occorre precisare che, nella realtà di tutti i giorni, ciascuna di queste criticità e la loro somma, per un periodo la cui lunghezza è difficile da prevedere, ma potenzialmente per lunghi anni, si farebbero sentire con violenza nel tran-tran giornaliero e soprattutto nel portafoglio dei catalani indipendenti. Basti pensare alla sopraggiunta e repentina maggior difficoltà delle banche nel concedere credito, per forza di cose.

E per quanto riguarda i rapporti tra creditori e debitori catalani e non catalani?
È immaginabile uno scenario da incubo. A partire dai “fondamentali”: la stessa adozione di una nuova valuta interna, nel caso, porterebbe seri grattacapi, se non altro in termini di calcoli supplementari.
Ma va considerato, soprattutto, come l’esercizio della giurisdizione sia oggi delegato a corti, magistrati e strutture legati a doppio filo a Madrid. Alla secessione seguirebbe, presumibilmente, il caos più assoluto nel sistema dei tribunali, delle competenze, delle attribuzioni, che non sarebbe né semplice, né breve da risolvere con una nuova organizzazione. Ma pregiudicherebbe nell’interregno, se non le ragioni almeno almeno i tempi e la certezza delle procedure per affrontare davanti a un giudice le innumerevoli e diverse questioni legate a debiti e crediti.

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